Ricerca: Alzheimer, scoperti i meccanismi all’origine della malattia

professor Marcello D’Amelio dell’Università Campus Bio-Medico di Roma

Niente dopamina? Niente memoria

Negli ultimi 20 anni i ricercatori si sono focalizzati sull’area da cui dipendono i meccanismi del ricordo, ritenendo che fosse la progressiva degenerazione delle cellule dell’ippocampo a causare l’Alzheimer. Le analisi sperimentali, tuttavia, non hanno mai fatto registrare al suo interno significativi processi di morte cellulare. Nessun ricercatore aveva finora pensato che potessero essere coinvolte altre aree del cervello nell’insorgenza della patologia. “L’area tegmentale ventrale – spiega il docente UCBM – non era mai stata approfondita nello studio della malattia di Alzheimer, perché si tratta una parte profonda del sistema nervoso centrale, particolarmente difficile da indagare a livello neuro-radiologico

I protagonisti della ricerca sono riusciti a chiarire i dettagli molecolari alla base della mancata comunicazione fra cellule nervose che, nel tempo, porta alla perdita di memoria. I ricercatori si sono resi conto che – come in un effetto domino – la morte delle cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita di memoria. Lo studio ha evidenziato, già nelle primissime fasi della malattia, la morte progressiva dei soli neuroni dell’area tegmentale ventrale e non di quelli dell’ippocampo. Questo meccanismo è risultato perfettamente coerente con le descrizioni cliniche della patologia di Alzheimer fatte dai neurologi. Conferme dalle terapie in laboratorio

Un’ulteriore conferma della scoperta è stata possibile somministrando in laboratorio, su modelli animali, due diverse terapie: una con L-DOPA, un amminoacido precursore della dopamina; l’altra basata su un farmaco che ne inibisce la degradazione. In entrambi i casi, dopo aver iniettato il rimedio si è registrato il recupero completo della memoria, in tempi relativamente rapidi.

Niente dopamina? Niente buon umore

Nel corso dei test, gli scienziati hanno registrato – accanto al miglioramento delle funzionalità mnesiche – anche il pieno ripristino della facoltà motivazionale e della vitalità. Si tratta di una seconda, importante, scoperta. “Abbiamo verificato – chiarisce D’Amelio – che l’area tegmentale ventrale rilascia la dopamina anche nel nucleo accumbens, l’area che controlla la gratificazione e i disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento. Per cui, con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un’alterazione patologica dell’umore”.

Questi risultati confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell’Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria i pazienti riferiscono un calo nell’interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione.

Depressione ‘spia’ dell’Alzheimer, non viceversa

Secondo gli autori della ricerca, i cambiamenti nel tono dell’umore non sarebbero – come si credeva fino ad oggi – una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer, ma potrebbero rappresentare piuttosto una sorta di ‘campanello d’allarme’ dietro il quale si nasconde l’inizio subdolo della patologia. “Perdita di memoria e depressione – sottolinea D’Amelio – sono due facce della stessa medaglia”.

(fonte: NATURE COMMUNICATIONS)

 

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